Scherma e automatismi

a cura di Giancarlo Toràn

Ricordi, evocati dalle parole.

Automatismi nella scherma: un argomento importante, che mi riporta, di botto – eccone uno – ad una lontana conferenza tenuta nel 1985. Un convegno dell’ACNOE (Associazione dei Comitati Olimpici Europei) sulla spada. Ero fra i relatori, e prima del mio intervento su tempo, misura e velocità, ricordo vividamente un diverbio fra un maestro, che aveva incautamente parlato di automatismi, e il presidente della Fis, Renzo Nostini, che insorse, con voce tonante, e ridusse al silenzio il maestro, che però aveva ragione…

Diamine, la scherma richiede intelligenza, altro che automatismi!

Eppure…

Tempo dopo partecipai al concorso indetto dalla Fis per un libro di argomento schermistico, che ebbe un buon successo (“Introduzione alla tattica schermistica”), e da cui ho tratto il capitolo che segue.

Gli automatismi non sono solo utili, ma indispensabili: senza, non potremmo vivere. Sono degli utilissimi servitori, che liberano la nostra creatività e capacità decisionale da incombenze ripetitive e meno nobili. Sempre che i servitori non prendano il sopravvento, e diventino padroni. Dipende da noi, la consapevolezza richiede attenzione, e impegno. Ci piace stare comodi, ma il prezzo da pagare può essere alto.

 

LA TECNICA E GLI AUTOMATISMI

 

Un’azione apparentemente semplice, come ad esempio camminare, o scrivere, è data in realtà da una somma di azioni automatiche ed automatizzate. L’indipendenza dall’attenzione cosciente consente a questa di dedicarsi alle finalità del movimento, anziché al controllo dell’esecuzione.

L’integrazione ed automatizzazione di azioni ad un livello sempre più complesso permette all’attenzione di applicarsi (con costi inferiori) a livelli più alti della strategia: più vicini agli scopi finali.

L’addestramento non dovrebbe mai perdere di vista il fatto che è proprio questo il fine che si persegue: automatizzare e integrare per rendere disponibile l’attenzione ai livelli superiori.

Nella scherma, l’automatismo sembra quasi una brutta parola. Lo schermitore, quello bravo, “ragiona”: e quindi, si conclude, non può fare le cose automaticamente.

Se ci intendiamo sul significato delle parole, però, le nostre conclusioni cambiano radicalmente.

Secondo le ricerche della psicologia applicata allo sport, il nostro sistema di elaborazione opera secondo tre modalità: automatica, automatizzata, controllata. E, da bravo stratega, sceglie, tra queste, la più adatta alla situazione e agli scopi, per ottenere il massimo risultato col minimo costo.

Come si “misura” il costo della elaborazione? Attraverso indici oggettivi, che sono il tempo impiegato e il numero di errori rilevati; e indici soggettivi, come la sensazione di fatica, e l’intensità dell’attenzione necessaria, che a loro volta si traducono, ancora, in aumento di tempo e di errori.

La modalità di elaborazione automatica è quella che ha i costi minori. Non arriva alla coscienza se non abbiamo fatto lo sforzo di ricordare e analizzare quel che è successo. Per esempio, se qualcosa ci passa improvvisamente davanti agli occhi, battiamo le palpebre. Non abbiamo imparato a farlo, e il più delle volte non ce ne accorgiamo nemmeno. Ma, se ci ripensiamo subito dopo, possiamo ricordare di averlo fatto.

Quella automatizzata ha costi molto bassi, ed è perciò molto veloce. Ma si chiama automatizzata proprio perché c’è voluto tempo e lavoro perché lo diventasse. Quando ripetiamo molte volte un’azione, anche complessa, finiamo con l’imparare a farla, bene e velocemente, senza doverci più pensare. Ha un difetto: una volta creata o innescata, è difficile intervenire per modificarla o correggerla. Bisogna fare un lavoro lungo e noioso, per distruggere un automatismo; e ci vuole molta attenzione per riportarlo sotto controllo cosciente e modificarlo. In compenso, ci permette di eseguire un’operazione mentre pensiamo ad un’altra, più importante, gradevole o interessante. Ad esempio, quando guidiamo l’auto, non siamo quasi più consapevoli dei complessi movimenti che facciamo col volante e coi pedali, mentre ci concentriamo sui movimenti del traffico, o sulla musica, o sulla conversazione. Se guidiamo una macchina nuova, con il pedale della frizione che “stacca” in modo diverso, con il cambio ed i comandi sul cruscotto diversi dai soliti, dovremo fare una certa fatica, prestando più attenzione del solito, per manovrare i comandi con la solita abilità. E commetteremo anche più errori, e questo ci impedirà di conversare tranquillamente come prima, almeno fino a quando non avremo preso confidenza con i nuovi comandi: fino a quando non si saranno creati i nuovi automatismi.

La modalità controllata è quella con il costo più alto, ed è perciò la più lenta: richiede tutta la nostra attenzione, e quindi non possiamo pensare ad altre cose contemporaneamente. Ma possiamo farle, a condizione che siano operazioni automatizzate.

È quando si opera in questa fase che si prendono le decisioni più importanti. I maggiori costi sono ben giustificati, ma questo obbliga a non sovraccaricare con incombenze non necessarie il momento più “nobile” dell’elaborazione. È un bene che il dirigente di un’azienda, ad esempio, quando deve scrivere una lettera, possa preoccuparsi solo dei contenuti, lasciando ad altri il compito di batterla a macchina, comprare e incollare il francobollo, e spedirla. A queste cose provvederanno, autonomamente, le persone incaricate. Lo stesso ruolo di queste persone viene svolto, nello svolgere la nostra attività, dalle azioni automatizzate. Una organizzazione efficiente ci permetterà di automatizzare operazioni sempre più complesse, a beneficio del centro che decide, e quindi, in definitiva, per raggiungere gli scopi col minimo costo.

Gli automatismi, quindi sono non solo utili, ma indispensabili. Nessuno può farne a meno. Sono servi che possono rendere al massimo, se bene organizzati. Una organizzazione funzionale di vari automatismi ci permette di inglobarli in modo da poterli considerare, nell’insieme, come un solo automatismo di livello più elevato. E la stessa cosa si può fare con questi ultimi, organizzandoli per creare un automatismo di livello ancora superiore. Ad esempio, le lettere sono usate per formare le parole; le parole le frasi; le frasi i concetti; i concetti per fare un articolo di una rivista. Chi scrive l’articolo non deve certo occuparsi coscientemente del modo di scrivere le singole lettere o parole, e neanche della grammatica: deve concentrare la sua attenzione su quel che vuole comunicare.

Anche chi legge l’articolo, però, non si preoccupa di analizzare le singole parole: bada al significato che esprimono, ed ha automatismi (conoscenza del linguaggio e del contesto) che lo aiutano ad estrarre questo significato senza perdersi nei dettagli.

Torniamo al punto di partenza, cioè alla scherma.

Gli automatismi che ci interessano sono importanti nella fase di raccolta ed elaborazione delle informazioni, e nella fase di esecuzione e controllo del movimento. Sono necessari perché queste operazioni, nella scherma, devono essere eseguite a gran velocità.

L’atleta principiante, non esperto, possiede pochi automatismi, integrati ad un livello molto basso. La sua attenzione dovrà portarsi a questo livello, con costi molto alti. Quando raccoglie informazioni, la sua visione d’insieme è limitata. Analizza gli indizi uno ad uno, e spende molto nel tentativo di controllare una realtà che evolve troppo rapidamente per i suoi mezzi. Ha scarse possibilità di prevedere, e quindi di agire in tempo: reagisce, ed agisce quasi sempre di prima intenzione, perché non riesce a prevedere la misura. Quando esegue l’azione che ha deciso, è meno preciso e meno flessibile, se c’è necessità di correggersi.

L’atleta esperto, che possiede molti automatismi ben integrati a un livello alto, è in grado di estrarre molta più informazione dai segnali in arrivo. Sa cosa è importante e cosa non lo è, e non spende fatica inutile a controllare dati inutili. I suoi automatismi gli consentono di controllare la misura, ma anche di prevedere con maggiore anticipo gli effetti del movimento di entrambi. Lavora prevalentemente di seconda intenzione, perché padroneggia e prevede molto meglio le variazioni di misura, e perché conosce e interpreta con più profondità e realismo le vere regole del gioco.

Un esempio schermistico. Decido di partire in controtempo, perché posso prevedere il contrattacco del mio avversario: ho capito quando lo fa e come. Per prima cosa, devo procurarmi la misura necessaria. Poi parto in controtempo, paro il contrattacco e rispondo al bersaglio scoperto. Tutte queste operazioni sarebbero impossibili da eseguire alla velocità richiesta se non fossero completamente automatizzate e integrate fra loro tutte le azioni (entrata in misura, cambio di ritmo, parata, risposta, movimenti delle gambe, coordinazione) implicate nel concetto “controtempo”, che posso trattare come una entità autonoma. Il mio cervello è libero di lavorare con i concetti di attacco, difesa, contrattacco, seconda intenzione, e così via, perché ne padroneggio l’esecuzione: ho minimizzato i punti di controllo e posso passare dall’uno all’altro con il minimo sforzo. Posso dire di padroneggiare una tecnica, nella scherma, quando sono in grado di eseguirla ad una velocità che solo le azioni automatizzate posseggono.

Quando penso, ed ho bisogno di tempi più lunghi, mi porto ad una misura più lunga, dalla quale eseguo, in automatismo, altre azioni che vanno sotto l’etichetta globale “controllo”; da qui potrò decidere che è il momento di passare alla fase “entrata in misura” e poi, per esempio, alla fase “finta in tempo”. Se, ad azione risolutiva avviata, qualcosa non va per il suo verso, saranno ancora gli automatismi ad offrirmi una via di scampo: la rimessa, o la controparata, ad esempio, eseguite prima di formulare un pensiero, alla massima velocità possibile.

Ancora, è importante rilevare che non si parla solo di automatismi motori. Vi sono automatismi anche per valutare, come per programmare. Quello che prima ho definito un automatismo di livello più elevato è in realtà un programma: una serie di istruzioni in sequenza, con possibilità di controllo. Ogni istruzione rappresenta un automatismo, una tecnica; i controlli sono i punti di decisione. Un punto di controllo conferisce flessibilità al programma, togliendo però un po’ di velocità. Nelle armi convenzionali è preferibile, nella fase conclusiva, maggiore flessibilità (si può aver ragione anche se non si arriva prima); nella spada, sempre in fase conclusiva, conta invece di più la velocità e la precisione.

Ad esempio, il programma che lega gli automatismi per la parata e risposta può prevedere un punto di controllo, per la scelta del bersaglio, durante la parata: nella spada questo ritardo può essere controproducente, perché espone alla rimessa; nel fioretto o nella sciabola, invece, è ammissibile, perché ci si può permettere di arrivare insieme, o con leggero ritardo, rispetto alla rimessa.

La tecnica, abbiamo detto, è il come si fa delle cose. Le tecniche (della scherma), per comune intendimento, sono le azioni schermistiche descritte nei trattati. Queste azioni sono di complessità variabile: alcune includono finte, coordinazione, ecc.

Una tecnica schermistica (azione) è veramente utile quando è possibile eseguirla alla massima velocità: e questo vuol dire averla automatizzata. Più tecniche possono essere legate insieme per un’azione più complessa (ad es. il controtempo), che a sua volta può essere automatizzata, per eseguirla molto velocemente, e permetterci di utilizzare (durante l’esecuzione) il sistema elaborativo, liberato dalla necessità di controllare l’esecuzione della tecnica nelle sue fasi intermedie. Anche in questo caso possiamo affermare di possedere “una tecnica”.

Anche il sistema elaborativo, in certe situazioni, può agire seguendo schemi predisposti (programmi): e perché ciò avvenga velocemente, è necessario l’addestramento, mediante ripetizioni. Si creano, così, automatismi di programmazione, che lasciano la parte del sistema elaborativo delegata al controllo (e quindi lenta) libera di occuparsi di altri problemi. Anche in questo caso, se è possibile descrivere, trasmettere ed automatizzare il procedimento, potremo parlare di tecnica.

Tecnica non è, quindi, sinonimo di automatizzazione: lo è quando il requisito richiesto è la massima velocità di esecuzione, come avviene per gran parte delle azioni schermistiche.

Nota bene: la velocità massima non è sempre un fatto positivo, nella scherma, dovendosi sincronizzare l’azione con quella dell’avversario. Ma dove non c’è velocità massima del movimento, è richiesta velocità dal sistema di controllo o di elaborazione: si richiedono cioè automatismi di tipo più complesso, come quelli sopra descritti.

di Giancarlo Toràn

l’immagine di copertina è stata creata da Copilot Designer, I.A. del browser di Microsoft

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