Il fioretto elettrico, e i maestri del tempo andato.

a cura di Giancarlo Toràn

Leggere oggi resoconti e previsioni del passato può essere un divertente esercizio: sappiamo come sono andate le cose, e possiamo permetterci, con un pizzico di presunzione, di osservare gli errori, i pregiudizi e talvolta le previsioni centrate di alcuni.

Mi è capitato in questi giorni, leggendo un articolo inviatomi dal collega e amico Dago Tassinari. È su Tuttosport, 8 maggio 1957, alla vigilia di un’importante decisione della Fie, che in quei giorni decise di adottare definitivamente la segnalazione elettrica nel fioretto, scegliendo l’apparecchio inventato dall’italiano Ing. Sergio Carmina.

“Fioretto elettrico sì, fioretto elettrico no. Rispondono tiratori di ieri e di oggi, e i più conosciuti maestri d’arme italiani.

Dopodomani il congresso di Parigi deciderà l’adozione definitiva o meno del fioretto elettrico. Concludiamo oggi la nostra inchiesta-referendum tra le più note personalità del mondo schermistico italiano. nella speranza di portare il nostro contributo alla dibattuta questione. Le tre domande che abbiamo posto sono le seguenti:

1) sei favorevole o meno all’adozione definitiva del «fioretto elettrico» e perchè?

2) ritieni che la scherma del cosiddetto «fioretto classico», il relativo regolamento, l’insegnamento magistrale e il modo di giudicare dovranno subire una trasformazione?

3) è vantaggiosa o meno per i fiorettisti italiani l’introduzione del fioretto elettrico?”

Seguono le risposte di maestri, atleti e arbitri. Mi limito, qui, a riportare le risposte dei maestri interpellati, che non si smentiscono, dimostrandosi in perfetto disaccordo su quasi tutto.

Mi hanno colpito, ad esempio, le risposte del romano Giorgio Pessina, maestro di quello che di lì a poco sarebbe diventato il presidente più longevo della nostra federazione, Renzo Nostini, nonché coautore, con Ugo Pignotti (li vedete insieme, nella foto di copertina), del trattato di fioretto ancora in uso. Non ci pensa due volte a definire incompetenti quelli che non la pensano come lui dimostrandosi oltre che arrogante, anche piuttosto negato per le previsioni.

“1) Assolutamente no, perché le caratteristiche di minore maneggevolezza del fioretto elettrico porteranno un notevole regresso rispetto allo sviluppo artistico della specialità.

2) Se per disgrazia il fioretto elettrico dovesse venire adottato definitivamente, i regolamenti vigenti dovrebbero essere modificati. Per ciò che riguarda l’insegnamento magistrale parlare di aggiornamento o dl trasformazione è semplicemente pazzesco poiché la teoria e la tecnica schermistica sono quanto di più logico e perfetto possa esistere, sempre che siano interpretate ed applicate bene. In merito ho sentito parlare con somma leggerezza di semplificazioni e di limitazioni delle azioni schermistiche. Chi dice ciò non è schermidore e tanto meno competente. L’azione composta è una diretta conseguenza dell’azione semplice; limitare lo studio delle azioni schermistiche significa ridurre le possibilità dello schermidore. Bastano queste considerazioni per condannare il fioretto elettrico in quanto la sua adozione suggerisce restrizioni pratiche e teoriche. Per ciò che concerne il modo di giudicare verrebbero a prospettarsi nuovi e difficili problemi e le soluzioni sarebbero comunque dannose alla scherma se intesa con vero senso artistico, quella scherma di fioretto che gli schermidori italiani hanno imposto all’ammirazione dei cultori di questo nobile sport di tutto il mondo.

3) Certamente no, in quanto tale innovazione favorisce i meno preparati schermisticamente, i meno ricchi di tecnica. Tanto per fare un paragone, il fioretto normale: un incontro di boxe sul ring; il fioretto elettrico: uno spiacevole spettacolo di zuffa in istrada.”

Come Pessina, ma con maggior rispetto verso chi non la pensava come lui, si esprimeva il maestro Cesare Pasquali, che insegnò a Livorno dopo il ritiro di Beppe Nadi.

Sul versante opposto, e quindi per Pessina incompetenti, praticamente tutti gli altri, fra i più noti e produttivi. Dichiara Francesco Visconti, che creava fior di allievi a Vercelli, ed è noto anche per le impugnature anatomiche su misura che portano il suo nome:

“Nel 1927, durante una riunione di spada svoltasi nell’Hotel Mediterranée a Nizza, fui chiamato assieme a Nedo Nadi e a Marcello Bertinetti in modo piuttosto misterioso, per sperimentare e dare il giudizio sull’allora neonato apparecchio elettrico segna-stoccate di speda. Nedo e Marcello, colti di sorpresa, si dichiararono contrari a questa innovazione; io solo detti la mia incondizionata approvazione. Il tempo mi dette ragione, perché non passò molto che anche i due cari amici divennero sostenitori dell’apparecchio meccanico. Dopo quello che ho visto e constatato, assistendo allo svolgimento di centinaia di tornei di fioretto, opino che anche per quest’arma, per le gare più importanti, sia utile e direi quasi indispensabile, l’uso della segnalazione elettrica, per ottenere risultati di giudizio positivamente precisi. Naturalmente, però, con l’uso dell’apparecchio elettrico ogni giudizio di tempo apprezzabile scompare, e cadremo nell’orbita della spada con la sola differenza del bersaglio che nel fioretto è limitato al tronco. Le basi dell’insegnamento del fioretto, sempre tenendo conto dei fattori tempo, velocità e misura non subiranno modificazioni notevoli, seguendo un metodo sempre più strettamente lineare. In ultima analisi ripeto e per un giudizio più chiaro e più convincente, specie nei riguardi dei concorrenti alle gare, io sono per l’uso dell’apparecchio elettrico.”

Visconti vide giusto. Nel 1957, finalmente, o malauguratamente, per alcuni, la FIE, presidente Ferri,  prese la decisione definitiva. Lo riporta il bollettino federale, maggio 1957:

“… dopo lunga e serrata discussione, nel corso della quale hanno in particolar modo partecipato i delegati belgi, francesi ed italiani, è stata definitivamente adottata, nonostante  l’opposizione del gruppo francese, la segnalazione elettrica per il fioretto, sinora in via di esperimento. La votazione ha dato 51 voti favorevoli, 19 contrari, 6 astenuti”

Enzo Musumeci Greco, Athos Perone, Bino Bini, Guido Comini, Silvio Verratti, seppure con sfumature differenti, la pensavano come Visconti. Nessuno, però riuscì a prevedere come e quanto si sarebbe trasformato il fioretto moderno.

I meno giovani ricorderanno come funzionavano le giurie, prima dell’adozione dell’apparecchio di segnalazione: un arbitro, che allora si chiamava presidente di giuria, e quattro assessori, che si chiamavano giurati, disposti ai lati della pedana, che dovevano sorvegliare il bersaglio dello schermidore di fronte. Potevano dire solo tocca, non tocca, bersaglio non valido e astensione, dietro richiesta del presidente. Dovevano muoversi velocemente, per essere sempre vicini all’azione. Ma il bello, o il brutto, fate voi, era la discussione che seguiva ogni stoccata, e la sua ricostruzione, che doveva essere rapida, talvolta fra le vibranti proteste dei tiratori o del pubblico, assiepato poco distante. I giudizi si sommavano: se c’era disaccordo fra i giurati, prevaleva il parere del presidente, ma se i due giurati dello stesso lato erano d’accordo, il loro giudizio prevaleva su quello del presidente. In sostanza, i giurati sono stati sostituiti dalle lampadine dell’apparecchio, e quindi offrono maggiori certezze: anche gli apparecchi possono funzionare male, ma più di rado, e non si lasciano suggestionare.

Risolto così il problema della materialità del colpo, e in seguito quello della leggerezza dell’arma e della tenuta della punta, restava, e resta, quello del giudizio sulla precedenza: un problema che ancora affligge il fioretto, e la sciabola, e non trova conforto in un regolamento antico, e di fatto sostituito da una tradizione orale piuttosto fluttuante.

I maestri di quel tempo non seppero prevedere la piega che la scherma convenzionale avrebbe preso, e in misura molto minore anche la spada. I cambiamenti si susseguirono veloci, e la nostra tradizione in qualche modo impediva ai nostri maestri di adeguarsi rapidamente ai cambiamenti. Ne seguì un periodo di digiuno, di penuria di medaglie, durò oltre un decennio, dopo le Olimpiadi di Roma del 1960.

Penso – è la mia opinione – che la svolta arrivò col maestro Livio Di Rosa. Vissuto per anni all’estero, di formazione classica (livornese, scuola di Beppe Nadi, un fratello, Manlio, campione del mondo individuale di fioretto), era però libero di sperimentare e modificare il suo insegnamento: acuto osservatore, non basava la sua scherma sui trattati, che affermava di conoscere bene, ma su quel che vedeva e funzionava. Tornato in Italia, dopo qualche anno mise in piedi un folto gruppo di campioni, a partire dalla medaglia olimpica di Fabio Dal Zotto, ed ebbe ragione, con fatica, della tenace opposizione dei classicisti. Sulla sua scia, forse incoraggiati dai suoi successi a vedere le cose in modo più aperto, e favoriti dal nuovo clima, altri maestri (penso a Ezio Triccoli, ad Antonio Di Ciolo) iniziarono a sfornare campioni tutt’altro che tradizionali, imponendo nel mondo la rivoluzione, perché tale era, della scherma italiana. Una storia che prima o poi sarà da raccontare.

Articolo di Giancarlo Toràn

Le foto a corredo:

In copertina, i maestri Giorgio Pessina, a sinistra, e Ugo Pignotti, che in quel periodo lavoravano insieme alla redazione del libro di testo sul fioretto.

Parte della pagina di Tuttosport del maggio 1957.

Foto di Francesco Visconti, con dedica al suo allievo Piero Tassinari, il papà di Dago, dalla sua tesi per gli esami magistrali.

Il maestro Livio  Di Rosa col suo presidente, Luigi Nonino.

 

articoli correlati